22/07/2024
Hande Eagle: In un'intervista che ha rilasciato a The Art Newspaper nel 2019 e recentemente a Gagosian Quarterly, ha dichiarato: "Quando ci siamo incontrati, una delle prime cose che mio marito mi ha detto è stata: 'I quadri sono per i musei e le gallerie – le pareti di casa devono restare bianche come le pagine di un album da disegno.'" Come mai vi siete incontrati proprio a Venezia? È stato durante la Biennale?
Gemma De Angelis Testa: "Bisogna essere creativi anche nelle cose più banali, il quotidiano perde la quotidianità se l’affronti con creatività come se fosse la prima volta che ti si presenta." Con queste parole Armando mi incuriosì e interessò al momento del nostro incontro, che avvenne a Venezia, a metà giugno del 1970. Come ogni anno, si svolgeva il Festival Internazionale del Film Pubblicitario, che allora aveva luogo una volta a Cannes e una volta a Venezia; venivano proposte centinaia di commercial provenienti da tutto il mondo. Io ero stata selezionata insieme ad altre 25 ragazze per partecipare al concorso della cine modella dell’anno, e Armando Testa era il presidente della commissione, composta da esponenti del mondo industriale, pubblicitario e cinematografico. Avevo da poco compiuto 21 anni, e se non avessi insistito dicendo a mia madre che sentivo che avrei incontrato l’uomo della mia vita, non mi avrebbe mai lasciato partire, e Armando ed io non ci saremmo mai incontrati. Durante la giornata, si trascorreva il tempo sulla spiaggia del Lido, ed è lì che vidi Armando per la prima volta. Era difficile non notarlo, teneva banco e attirava l’attenzione su di sé: diffondeva intelligenza e ironia. Quella sera stessa mi invitò a ballare alla discoteca dell’hotel insieme ad altre persone, e rimase sorpreso quando gli parlai del mio interesse per l’arte moderna e della mia voglia di dipingere. Il giorno dopo mi invitò a visitare con lui la Biennale d’arte ai giardini, dove mi parlò della disperazione di Burri, dei tagli di Fontana e della poetica dell’Arte Povera; e rimasi affascinata dal suo modo di parlare e dalla sua incontenibile energia.
H.E: Riesce a immaginare un calendario delle arti senza la Biennale di Venezia?
G.D.A.T: No, non credo. La Biennale è stata e continua ad essere uno spazio unico dove artisti, curatori e pubblico possono interagire, scambiare idee, scoprire nuove tendenze e innovazioni artistiche, non solo nell’ambito delle arti visive, pensiamo anche alle altre manifestazioni, legate al cinema, all’architettura, alla musica, alla danza e al teatro che hanno trovato sotto il cappello della Biennale di Venezia una cornice e una risonanza globale. La Biennale fin dalla sua prima edizione nel 1895, ha contribuito a plasmare il mondo dell’arte, prima con la tendenza a privilegiare i valori consolidati, poi con la tendenza a farsi spazio e testimonianza di nuove esigenze espressive a livello internazionale. Alcune storiche realizzazioni hanno trovato spazio proprio negli spazi della Biennale, e alcune edizioni hanno fatto la storia, come quella del 1964 che consacrò la Pop Art americana, spostando la bilancia della ricerca pittorica dall’Europa agli Stati Uniti.
H.E: Quali sono le sue opinioni sulle questioni ambientali globali? Come potremmo affrontare i problemi che ci troviamo di fronte? Condivida per favore le sue opinioni sulla legislazione dell'UE sul divieto dell'uso di plastica monouso, che è ampiamente utilizzata nell'installazione di opere d'arte nei musei e nelle gallerie, così come nelle grandi fiere d'arte.
G.D.A.T: È difficile risponderle fornendole un’unica soluzione: il nostro sistema e il nostro modo di vivere è incredibilmente cambiato nell’arco di pochissimo tempo. Basti pensare a quali cambiamenti tecnologici e sociali siamo andati incontro dal dopoguerra ad oggi: nell’arco di 70 anni abbiamo assistito e siamo stati i protagonisti di numerose “rivoluzioni”. Questo per dirle che secondo me non è più possibile affrontare un problema, sociale ambientale o politico che sia, proponendo una sola macro soluzione, perché questa porta con sé inevitabilmente un’altra problematica che prima non esisteva (pensiamo ad esempio alle batterie delle auto elettriche). Nell’era dell’iper connessione, le risposte devono essere multiple e attingere a svariati settori. Io non sono né un tecnico né un’esperta sul tema, e le soluzioni che posso immaginare derivano dall’arte e della cultura. Penso quindi non solo alla creazione di campagne di sensibilizzazione sul tema, questo lo si sta già facendo, ma a farlo in un modo che coinvolga e diverta: far entrare alcune tematiche e le relative azioni da intraprendere nell’esperienza del quotidiano in forma ludica e coinvolgente -utilizziamo quindi l’arte! Mi vengono in mente alcune campagne di Armando, ad esempio quella realizzata nel 1971 contro l’inquinamento delle acque, in cui una fila di teschi fuoriesce da un rubinetto sospeso o alcune opere presenti nella collezione che ho donato a Ca’Pesaro, ad esempio l’opera Isla (inteligible) di Yoan Capote, in cui la superficie del mare è formata da una fitta serie di ami, che da lontano attirano lo spettatore con il loro luccichio, ma una volta accostatisi all’opera rivelano il loro nero intrico, che può far pensare ai pericoli del mare o alla pesca eccessiva e illegale. Sull’uso delle plastiche monouso, sono felice che finalmente sia stata introdotta questa direttiva, ma è solo il punto di partenza, come dice Greta Thunberg “Basta chiacchiere, solo azioni”.
H.E: Tornando all'intervista che Lei ha rilasciato a The Art Newspaper durante la quale hai dichiarato: "Fin da giovane, uno dei miei sogni preferiti era creare il mio museo ideale." E davvero ha avuto la collezione per farlo. L'anno scorso ha donato 105 opere di alcuni dei più grandi artisti contemporanei internazionali alla Fondazione Musei Civici di Venezia (MUVE). Avrebbe potuto invece realizzare il suo sogno. Perché ha scelto di donare? Inoltre, potrebbe parlarmi di più del suo museo ideale?
G.D.A.T: Perché l’arte è emozione, e le emozioni occorre farle circolare, scambiarle e condividerle. Come dicevo in una precedente intervista, l’esperienza dell’opera d’arte è maggiormente arricchente nel momento in cui viene condivisa, per questo ho sempre ritenuto che un collezionista non dovesse custodire gelosamente le proprie opere, ma metterle a disposizione della comunità, sostenendo l’importanza della collaborazione fra privati ed istituzioni. Quando ancora non potevo collezionare, mi divertivo ad allestire di volta in volta nella mia mente la collezione ideale. Era tutta bianca, non figurativa e neppure astratta, densa di racconti, di pensieri, di nuovi modi per cercare un contatto con l’animo umano. Oltre a Twombly, c’erano i tagli di Fontana, gli Achromes di Piero Manzoni, i monocromi bianco su bianco del minimalista Robert Ryman, mi riferisco a quelli volutamente ispirati a quell’ideale modello di astrazione e ricerca dell’assoluto, che caratterizzano il “Quadrato bianco su fondo bianco” (1918) del suo maestro Kazimir Malevich. In quanto luogo mentale, l’allestimento creava un’atmosfera mistica, sospesa. Andavo spesso in visita a questo museo ideale, così ben strutturato da consentirmi di fare lunghi percorsi solitari, senza restrizioni di scelta: del resto, si sa, sognare non costa nulla.
H.E: Questo mi riporta anche alla sua intervista a Pepi Marchetti Franchi pubblicato su Gagosian Quarterly. Lei ha dichiarato: "Oggi è più facile per un nuovo arrivato entrare nel mondo dei collezionisti e degli artisti, ma non è sempre altrettanto facile comprendere la complessità del pensiero nell'arte, che spesso non è abbastanza approfondito dai nuovi collezionisti. Investire del tempo è un investimento necessario e una sfida." Intende "nuovi collezionisti" o "giovani collezionisti"? E che dire dell'investimento di capitale richiesto?
G.D.A.T: Oggi è sicuramente più facile per un neofita (giovane o anziano che sia) accedere al mondo dell’arte, nel senso di accedere a delle informazioni sugli artisti e sulle opere, grazie ad internet e alla riviste specializzate, che nonostante il declino della carta stampata, continuano comunque ad offrire un certo tipo di contenuto. Inoltre, per un collezionista oggi è molto più facile ed immediato entrare in contatto con i galleristi e gli artisti stessi. Internet in questo senso ha favorito un maggiore dialogo e una comunicazione più diretta. Fare ricerca, eventualmente anche comprare, risulta più veloce e meno difficoltoso di un tempo, ma a ciò potrebbe non corrispondere un’altrettanta facilità e volontà di approfondimento dell’opera e del pensiero dell’artista; e senza alcun dubbio, la disponibilità economica è un elemento importante, ma può risultare un’arma a doppio taglio. Secondo me disporre del proprio tempo e dedicarlo allo studio e all’approfondimento è un lusso di cui si sottovaluta il piacere che ne deriva. Perché l’arte non è un bene rifugio, e come dice Gian Enzo Sperone in un recente articolo "L’arte si compra per amore o per disperazione (dipende) e si guarda sempre con trepidazione, ed è cosa (mentale) da cui non ci si vuole mai separare (così come gli affetti)."
H.E: Nella stessa intervista con Pepi Marchetti Franchi afferma che "Il Premio Acacia viene assegnato a giovani artisti italiani affermati sulla scena internazionale in riconoscimento del loro lavoro." Quest'anno il premio è stato assegnato a Massimo Bartolini, che è un artista italiano molto conosciuto e affermato, rappresentando l'Italia al padiglione nazionale della LX Biennale di Venezia. Da quanto ho capito, il premio era destinato a sostenere artisti a metà carriera mentre Bartolini sta vivendo l'anno d'oro della sua carriera indipendentemente dal Premio Acacia...
G.D.A.T: Il Premio Acacia nasce sì con l’intento di sostenere artisti italiani a metà della loro carriera (e non solo!), ma si fa anche interprete di un momento storico e di alcune esigenze espressive di cui gli artisti che abbiamo premiato negli anni hanno saputo cogliere i segnali prima degli altri. Penso a Francesco Vezzoli, premiato nel 2004, la cui opera esplora il tema dell’identità. Per Massimo Bartolini invece, abbiamo ritenuto importante riconoscere il valore del suo messaggio artistico, un invito all’ascolto e alla concentrazione, in un momento storico in cui sembra sempre più difficile riuscire a dialogare gli uni con gli altri. In questo senso si inserisce anche il premio Acacia dell’anno scorso assegnato a Yuri Ancarani, la cui opera "Il popolo delle donne" è insieme denuncia e invito alla riflessione sulla violenza fisica e verbale di cui le donne sono ancora oggetto.
H.E: Mi piace sempre tornare indietro nel tempo... Sono curiosa di sapere come il suo interesse per l'arte si sia sviluppato a un livello così alto...
G.D.A.T: I libri d’arte che avevamo in casa hanno contribuito ad accrescere e alimentare la mia passione per l’arte e la pittura. Mi ero appassionata a raffigurare animali visti da dietro, studiavo in biblioteca i disegni di Leonardo e realizzavo figure talmente rastremate che diventavano qualcosa di diverso, tendevano di più all’astrazione. Non pensavo di diventare un’artista, e non c’era nessuno in famiglia che mi spronasse a studiare per coltivare questa passione, ma disegnare e dipingere mi faceva stare bene. Quando mi ammalai di tifo a 13 anni, mio padre mi regalò tre monografie su [Giorgio] Morandi, Van Gogh e Modigliani e dei racconti di Kafka, che colpirono in particolar modo la mia fantasia e segnarono la mia sensibilità artistica. Da allora l’arte continuò a far parte della mia vita e negli anni non ho mai smesso di nutrire questa passione attraverso viaggi, letture, visite ai musei e gallerie.
H.E: So che si riferisce al mondo dell'arte come a un ecosistema, ma pensa che sia democratico?
G.D.A.T: È una domanda complessa, in cui occorre tener presente diversi punti di vista. In linea generale potrei risponderle di no: sia per chi desidera fruire dell’arte, sia per chi desidera collezionarla o per chi la crea, ma stiamo assistendo a dei progressivi cambiamenti che vanno nella direzione di una maggiore inclusività e accessibilità al mondo dell’arte, pensiamo ad esempio all’artista trans La Chole Poblete, premiata con una menzione speciale alla Biennale di Venezia 2024; o alle diverse piattaforme online, che ti permettono di comprare delle azioni di opere d’arte, con l’obiettivo di democratizzarne l’accesso. Tanto si può e si potrebbe ancora fare per facilitare e favorire l’accesso del pubblico all’arte, e le numerose fiere, eventi e manifestazioni artistiche che continuano a fiorire in giro per il mondo rappresentano sicuramente un segnale positivo e incoraggiante.
H.E: Qual è il significato della mostra "Lord Finger" in termini di longevità del lavoro di Armando Testa come artista, rispetto alla mostra monografica attualmente in corso "Armando Testa" a Ca' Pesaro co-curata da Lei, Tim Marlow ed Elisabetta Barisoni?
G.D.A.T: Questa mostra vuole presentare al pubblico un aspetto ancora poco valorizzato della produzione di Armando Testa, quello sulle mani e sulle dita. Negli anni molte di queste opere sono state già esposte in importanti musei, ma non sono mai state raccolte insieme e inserite in un unico spazio espositivo dal 1987, quando a Parma fu organizzata una mostra alla Galleria Niccoli. Si tratta di una ricerca formale sviluppatasi e portata avanti dagli anni ‘60 fino agli anni ‘90, condita sempre con una certa ironia, che ritroviamo in molti dei suoi lavori. La ricorrenza di questo tema insieme ai diversi mezzi espressivi usati, che vanno dalla tela alla fotografia passando per la scultura, hanno creato un corpus di opere che meritavano uno spazio e un’attenzione particolari, perché, come diceva lui stesso “Il dito è un protagonista nella vita dell’uomo, e possiede una bellezza formale decisamente superiore all’orecchio e in diretta competizione con l’occhio”. E trovo che sia stata un’ottima idea organizzarla in concomitanza con la monografica alla Galleria Internazionale d’arte moderna Ca' Pesaro, che invece copre un arco temporale molto più ampio, ma soprattutto testimonia della sua creatività multidisciplinare, geniale e sconfinata.
H.E: Fino a che punto direbbe che la pubblicità contemporanea ha il potere di puntare il 'dito del signore' su di noi affinché facciamo o compriamo 'la cosa giusta'? O pensa che la pubblicità del XX secolo fosse molto più potente a causa delle grandi menti dietro di essa?
G.D.A.T: Si tratta di due tipologie di pubblicità completamente diverse: la pubblicità contemporanea è una sorta di perfezionamento tecnologico della precedente senza tuttavia possederne l’originalità e l’inventiva. Cambiando il supporto della pubblicità, è cambiato anche il modo di interagire con il pubblico. Da fenomeno di massa sociale, frutto di un lungo processo di ricerca stilistica e di mercato, di cui il manifesto era il mezzo d’elezione, si è arrivati a vedere pubblicità curatissime dal punto di vista estetico, ma prive di quella originalità e ironia che le rendeva memorabili. Indubbiamente quella di oggi è una pubblicità maggiormente pervasiva e tagliata su misura, che punta sul “click a portata di mouse”, ma paradossalmente dal contenuto visivo e testuale più povero. Armando Testa è stato un pilastro della pubblicità italiana, ha portato la sua visione artistica all’interno di questo mondo, sintetizzando il figurativo e l’astratto creando forme dalla forza indimenticabile. Ha inventato delle campagne televisive i cui slogan sono entrati nell’immaginario collettivo, ad esempio la tanto citata frase del carosello Lavazza “Carmencita sei già mia, chiudi il gas e vieni via” o quella pronunciata da una seducente Solvi Stubig in mezzo al deserto "Chiamami Peroni, sarò la tua birra." Armando amava stupire l’occhio, sorprendere il cuore, divertire la mente e quasi sempre ci riusciva.
H.E: L'italiano è forse la lingua che si esprime maggiormente attraverso l’uso delle mani. Molti pensieri e sentimenti possono essere espressi senza parole. Mani e dita sono state centrali nell'arte fin dall'alba della religione cristiana (e prima, nel giudaismo e molto prima, nell'antico Egitto con Mano Pantea - un amuleto noto come le due dita che rappresentano Iside e Osiride, o l'hamsa, la mano di Fatima nel mondo musulmano), l'iconografia di Cristo Pantocratore seguita dai temi della mano di Dio nel tardo periodo antico e medievale. Alcuni esempi si estendono dall'Ultima Cena di Da Vinci, alla Creazione di Adamo di Michelangelo, all'Incredulità di San Tommaso di Caravaggio fino ai tempi più moderni nelle opere di artisti come il fotografo di ritratti e documentari tedesco August Sander, o in maniera più nota nelle fotografie delle mani di Georgia O'Keefe di Alfred Stieglitz, e movimenti successivi come il Dadaismo e la Pop-art. Il concetto di mani e dita create da mani e dita porta avanti una prospettiva così unica sulla nostra creatività come esseri umani. Mani che creano, mani che distruggono, mani che pregano, mani che desiderano e mani tra di loro, inerti e romantiche, e il risultato finale, mani che sono create dalle mani. Pensa che come razza umana esauriremo un giorno questa fonte di ispirazione e ingegnosità?
G.D.A.T: Le mani sono un simbolo universale, la nostra connessione tra il mondo intellettivo e il mondo fisico. È il mezzo attraverso cui facciamo presa sul mondo, e che ci permette di rendere materia tangibile quello che finora è rimasto confinato nello spazio della mente. Il gesto come manifestazione del pensiero potrebbe far pensare alle mani come a una fonte infinita di ispirazione e ingegnosità. Tuttavia, l’arte evolve in sintonia con le nuove scoperte tecnologiche e scientifiche. L’intelligenza artificiale nella sua tendenza a distaccarci dal corpo e dalle sue sensazioni reali, influirà sul modo in cui ci rapportiamo alle mani, ma sono sicura che sarà il mezzo per esplorare altri confini e trovare nuove fonti di ispirazione. Chissà gli androidi come dipingeranno! "L’arte è eterna, ma non può essere immortale. […] Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia", così recitava il Primo Manifesto spaziale nel lontano 1946; e credo che mai come oggi questo concetto possa essere ribadito con forza.
H.E: Come spiega il perdurante successo di Armando Testa? Il lavoro di un uomo che ha lavorato in tipografia fino ai suoi primi vent'anni e poi è diventato il re della pubblicità in Italia durante alcuni degli anni più difficili del paese sia politicamente che socialmente... Fino ad oggi, la sua opera sembra così contemporanea e "viva", ingenua ma piena di umorismo nero nel nostro nuovo mondo dell'IA. Pensa che Armando Testa si sarebbe cimentato nell’arte digitale se fosse ancora vivo?
G.D.A.T: Armando è stato un antesignano della creatività multidisciplinare: si è espresso attraverso una varietà di linguaggi riuscendo a raggiungere dei risultati eccelsi in qualsiasi campo si cimentasse, dalla pittura al disegno passando dalla scultura, l’architettura, la fotografia e la televisione. Il suo segno, permanentemente creativo, lo ha portato ad elaborare un processo di fusione e sintesi tra l’arte, il commercio, l’intrattenimento e il design. È riuscito a portare la sua visione artistica all’interno del mondo della pubblicità, creando delle opere pubblicitarie la cui aura visiva e concettuale è propria delle migliori opere d’arte. Penso ad esempio al lavoro minimale del manifesto Punt e Mes, in cui si fondono e si identificano parola e immagine, offrendoci un’opera dal potere visivo puro. Come l’ultima serie di lavori sulla Croce, che porta in grembo un’idea universale, dove il corpo di Cristo si fa struttura e viceversa. Una simbiosi assolutamente geniale tra significato e significante, tra contenitore e contenuto, a mio parere punto chiave di tutto il suo lavoro. Come dichiara Michelangelo Pistoletto, che fu allievo di Armando alla scuola di pubblicità grafica a Torino, “Una cosa capii subito, dall’esempio del suo personale lavoro: l’importanza dell’essenziale, la forza dell’immagine essenziale. E lì c’era tutta la modernità estratta dall'antico, uno spessore immenso di storia delle forme che esplodeva nella precisione assoluta di un'icona del presente, l'icona del prodotto, l'icona di una nuova religione.” Le opere di Armando possono essere paragonate a delle icone, quindi senza tempo.
H.E: Colleziona opere di artisti digitali? Pensa che Armando Testa si sarebbe cimentato nell’arte digitale se fosse ancora vivo?
G.D.A.T: Io non colleziono opere di arte digitale e credo che neanche Armando ne collezionerebbe, ma sono sicura che si sarebbe cimentato nell’arte digitale, curioso com’era del nuovo. In una conferenza negli anni ‘80 già dichiarava: "Il mondo che noi viviamo è un mondo di immagini, che diventeranno sempre più intense, su cui il pubblico giocherà ad accostarle e a riviverle in plurimaniere. È questo il futuro dell’uomo che è bombardato dalle immagini… e sarà un gioco nuovo anche perché l’uomo nelle immagini avrà rapidità di connessioni e di scambi". Con trent’anni di anticipo e con l’assoluta sensibilità e lungimiranza che contraddistingue i grandi geni, aveva capito come la produzione e la circolazione delle immagini avrebbero acquisito un ruolo sempre più fondamentale nelle relazioni fra le persone e nella definizione della nostra realtà.
H.E: Per concludere, può parlarmi dei luoghi che Armando Testa preferiva visitare? Se oggi potesse andare ovunque con lui, dove andrebbe?
G.D.A.T: Armando amava moltissimo viaggiare, e poteva visitare lo stesso posto diverse volte, come le Piramidi di Giza in Egitto, dove ci recammo in più occasioni. Anche l’India e l’Africa lo affascinavano, e organizzammo molti viaggi durante gli anni alla scoperta di queste due bellissime terre. Nel fine settimana, Armando ed io amavamo andare in bicicletta lungo il Po'; sulle nostre Bianchi ci divertivamo a gareggiare tra di noi, ovviamente mi faceva vincere per galanteria, essendo lui un ciclista professionista! Ogni sabato sera poi andavamo a cena Al Gatto Nero, storico ristorante di Torino. Armando era solito creare per la loro chiusura estiva un disegno di un simpatico gatto nero che annunciasse le tanto sospirate vacanze. I disegni di Armando facevano bella mostra di sé all’ingresso del ristorante, accogliendo i clienti con un pizzico di ironia e umorismo. Ne disegnai uno anche io: il Gatto playboy con il fiore in bocca! Se oggi potessi andare con lui ovunque, andrei sicuramente al mare a fare windsurf. Tornerei a Saint-Barth, dove imparai ad andare sulla tavola e a governare il vento. Non si può dire altrettanto di Armando, che puntualmente veniva trascinato via dalla corrente, e ogni volta mi toccava andarlo a ripescare lontano dalla riva. Spericolato com’era, non si fermava davanti a nulla, e si buttava con temerarietà in ogni impresa, acquatica e non!
"Lord Finger" è in mostra alla Galleria Continua San Gimignano fino al 1 settembre, 2024.
"Armando Testa" è in mostra a Ca' Pesaro Galleria Internazionale d'Arte Moderna fino al 15 settembre 2024.
Ringraziamento speciale a: Gemma De Angelis,
Priscilla Greggi (Assistente di Gemma De Angelis Testa) per la traduzione dall'inglese all'italiano,
e Galleria Continua San Gimignano.
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